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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-03-31 ad oggi 2010-03-31

MILANO - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rinviato alle Camere la legge che riforma alcune parti del diritto del lavoro, tra cui il noto articolo 18 che regola le procedure di licenziamento. "Il capo dello Stato - spiega una nota del Quirinale - è stato indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni - con specifico riguardo agli articoli 31 e 20 - che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale. Ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale".

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2010-03-31

31MArzo 2010

ROMA

Napolitano rinvia

la legge sul lavoro

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rinviato al Parlamento la legge sul lavoro che introduce la possibilità preventiva di ricorrere all'arbitrato invece che al giudice per le controversie di lavoro. Secondo un comunicato, il Quirinale "ha ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale". Napolitano cita in particolare gli articoli 31 sull'arbitrato e 20 sui diritti dei lavoratori a bordo dei navigli di Stato.

Contro il provvedimento aveva scioperato il 12 marzo la Cgil accusando la maggioranza di aver voluto aggirare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che vieta il licenziamento senza giusta causa. "È una norma incostituzionale", aveva spiegato il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, durante il comizio a Padova, "perché si cerca di introdurre un arbitrato forzoso che costringe i lavoratori a rinunciare a quello che la Costituzione gli consente, cioè di ricorrere al giudice quando vengono violati i diritti di un contratto e i diritti di una legge".

Il Parlamento può anche non accogliere i rilievi del capo dello Stato e decidere di aprire uno scontro istituzionale rimandando al Quirinale lo stesso testo respinto. A quel punto il presidente della Repubblica ha l'obbligo di approvare la legge che eventualmente potrebbe essere portata davanti alla Corte Costituzionale.

Sacconi. Il governo terrà conto dei rilievi mossi dal capo dello Stato sul ddl lavoro collegato alla Finanziaria ed in particolare sulla norma che consente al lavoratore di rivolgersi ad un arbitro per la soluzione di eventuali controversie. Lo ha detto, intervistato dal TG1, il titolare del Welfare Maurizio Sacconi. "Rispetto la decisione" del presidente Napolitano di non firmare il disegno di legge, ha affermato il ministro. "Il capo dello Stato chiede un ulteriore approfondimento da parte del Parlamento che - ha assicurato - ci sarà". Come governo, "proporremo alcune modifiche che mantengano in ogni caso un istituto che lo stesso Presidente della Repubblica ha apprezzato".

Il governo, quindi, è pronto a ritoccare la norma sull'arbitrato: "Potremmo rafforzare ancora di più il ruolo delle parti sociali - ha fatto sapere Sacconi - Ricordo che tutte, proprio tutte le parti (oggi ha firmato anche la Lega delle Cooperative) hanno sottoscritto un'intesa tranne la Cgil. Quell'intesa potrebbe anche diventare norma di legge per circoscrivere la possibilità di rinviare all'arbitrato all'atto dell'assunzione" in caso di eventuale contenzioso.

"Inoltre - prosegue il ministro - potremmo dare un tale valore alla contrattazione collettiva tra le parti sociali da rinunciare ad una funzione sostitutiva del ministro che era teorica, perchè il ministro ha sempre inteso riferirsi alle intese fra le parti sociali".

 

 

 

 

 

 

 

CORRIERE della SERA

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http://www.corriere.it

2010-03-31

Sacconi: "Ne terremo conto", Di Pietro: "Ci ha ascoltato"

Ddl lavoro, Napolitano non firma

Il presidente della Repubblica rinvia alle Camere la legge che riforma alcune parti del diritto del lavoro

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AUDIO / IL COMMENTO: Così Napolitano si preoccupa anche dei lavoratori più deboli

Sacconi: "Ne terremo conto", Di Pietro: "Ci ha ascoltato"

Ddl lavoro, Napolitano non firma

Il presidente della Repubblica rinvia alle Camere la legge che riforma alcune parti del diritto del lavoro

MILANO - Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rinviato alle Camere la legge che riforma alcune parti del diritto del lavoro, tra cui il noto articolo 18 che regola le procedure di licenziamento. "Il capo dello Stato - spiega una nota del Quirinale - è stato indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni - con specifico riguardo agli articoli 31 e 20 - che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale. Ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale".

I DUBBI DEL PRESIDENTE - Una delle due norme del ddl Lavoro al centro dei rilievi del Quirinale riguarda la nuova procedura di conciliazione e arbitrato che di fatto incide sulle norme dell'articolo 18 relative al licenziamento. In particolare l'articolo indicato nel comunicato del Quirinale prevede che già nel contratto di assunzione, in deroga dai contratti collettivi, si possa stabilire che in caso di contrasto le parti si affidino a un arbitrato. Il timore, che era stato avanzato dai sindacati e dall'opposizione, è che al momento dell'assunzione il lavoratore accetti la via dell'arbitrato, che lo garantisce di meno rispetto al contratto che prevede l'articolo 18 sulle tutele per chi è licenziato senza giusta causa. L'altro articolo sul quale il Quirinale ha mosso rilievi è il 20, che esclude dalle norme del 1955 sulla sicurezza del lavoro il personale a bordo dei navigli di Stato.

Negli ambienti del Quirinale si fa presente però che nel comunicato sulla richiesta del Presidente della Repubblica alle Camere non si fa riferimento all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, poiché le questioni sollevate - come risulterà evidente dalla lettura del messaggio del Capo dello Stato al Parlamento - riguardano la necessità di più ampi adeguamenti normativi che vanno ben al di là di quel tema specifico.

IL MESSAGGIO ALLE CAMERE - Nel messaggio di accompagnamento al rinvio della legge, letto a Montecitorio dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, Napolitano spiega che "occorre verificare attentamente che le disposizioni siano pienamente coerenti con la volontarietà dell'arbitrato e la tutela del contraente debole". Il capo dello Stato sottolinea che l'arbitrato deve essere "di equità, circoscritto in limiti certi e condiviso" e il suo "ricorso deve essere coerente con la tutela dei diritti dei lavoratori". Per Napolitano in pratica va bene l'avviso comune delle parti sociali, ma l'abritrato è materia che deve definire il legislatore. Inoltre il capo dello Stato ha anche sollevato "serie perplessità" sull'indeterminatezza del potere suppletivo attribuito al ministro del Lavoro. È "opportuno" che il Parlamento svolga un'ulteriore riflessione sugli articoli 30,32 e 50 del disegno di legge collegato sul lavoro, sui quali ci sono "seri dubbi interpretativi" scrive ancora Napolitano. Il Capo dello Stato invita il Parlamento a una rilettura rispetto a quanto emerso inizialmente: oltre all'arbitrato, gli appunti di Napolitano riguardano le competenze della magistratura sulle clausole dei contratti di lavoro, i contratti a tempo determinato e la tipizzazione delle clausole di licenziamento, e l'entità del risarcimento per le cause di lavoro relative a collaborazioni coordinate e continuate.

MARONI - Il ministro dell'Interno Roberto Maroni, ospite di SkyTg24, spiega così il rinvio alle Camere della norma che riformava il diritto del lavoro: "È il problema dei cosiddetti decreti omnibus, dove finiscono molte norme che spesso non hanno nulla a che vedere con il provvedimento originario e su questi decreti il presidente della Repubblica ha sempre mostrato sensibilità". Quanto al rinvio alle Camere deciso da Napolitano Maroni sottolinea: "È suo potere e non ho nulla da eccepire".

SACCONI - "Terremo conto dei rilievi del presidente della Repubblica", ha commentato il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. "Il capo dello Stato - ha aggiunto Sacconi - chiede un ulteriore approfondimento al Parlamento che ci sarà e da parte del governo proporremmo alcune modifiche che mantengano in ogni caso l'istituto (l'arbitrato, ndr) che lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato".

TREU - "Il documento del Presidente Napolitano è un invito al Parlamento ad approfondire, in sostanza a ripensare, il cosiddetto collegato al lavoro" ha dichiarato in una nota il senatore Pd Tiziano Treu, vicepresidente della commissione Lavoro di Palazzo Madama. "Da quanto risulta tre sono i rilievi principali del documento. Primo, la normativa è eterogenea e va quindi rimessa in ordine secondo quelle che devono essere buone tecniche legislative. Secondo, l'arbitrato è uno strumento utile per snellire il contenzioso del lavoro ma non può pregiudicare le garanzie delle tutele dei lavoratori stabilite per legge. Si tratta non solo dell'art. 18 ma di tutte le garanzie risultanti da norme inderogabili poste in tutela del lavoro. Terzo, il Presidente Napolitano chiede che si stabilisca un equilibrio tra legge, contratto collettivo e contratto individuale".

DI PIETRO - "Finalmente il presidente della Repubblica batte un colpo e rimanda alle Camere la legge che voleva svuotare lo Statuto dei lavoratori", ha detto il presidente dei Italia dei valori, Antonio Di Pietro. "L'Idv è stato l'unico partito che si era permesso di pregare il capo dello Stato di rinviare il provvedimento alle Camere".

EPIFANI - "La Cgil esprime soddisfazione e apprezzamento per la decisione del Quirinale". È quanto afferma il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, commentando il rinvio alle Camere del ddl lavoro deciso dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "È una decisione - prosegue - che conferma le considerazioni della Cgil sugli aspetti critici del provvedimento".

Redazione online

31 marzo 2010

 

 

 

Chiesta alle Camere nuova deliberazione sulla Legge in materia di lavoro

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha chiesto alle Camere, a norma dell'art. 74, primo comma, della Costituzione, una nuova deliberazione in ordine alla legge: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro".

 

 

 

Testo integrale del messaggio del Presidente Napolitano alle Camere sulla Legge in materia di lavoro

Palazzo del Quirinale, 31/03/2010

Testo integrale del Messaggio motivato con il quale il Presidente Napolitano ha chiesto alle Camere una nuova deliberazione sulla Legge recante: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro".

"Onorevoli Parlamentari,

mi è stata sottoposta, per la promulgazione, la legge recante: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro".

Il provvedimento, che nasce come stralcio di un disegno di legge collegato alla legge finanziaria 2009 (Camera n.1441-quater), ha avuto un travagliato iter parlamentare nel corso del quale il testo, che all'origine constava di 9 articoli e 39 commi e già interveniva in settori tra loro diversi, si è trasformato in una legge molto complessa, composta da 50 articoli e 140 commi riferiti alle materie più disparate.

Questa configurazione marcatamente eterogenea dell'atto normativo - che risulta, del resto, dallo stesso titolo sopra riportato - è resa ancora più evidente da una sia pur sintetica e parziale elencazione delle principali materie oggetto di disciplina: revisione della normativa in tema di lavori usuranti, riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, regolamentazione della Commissione per la vigilanza sul doping e la tutela della salute nelle attività sportive, misure contro il lavoro sommerso, disposizioni riguardanti i medici e professionisti sanitari extracomunitari, permessi per l'assistenza ai portatori di handicap, ispezioni nei luoghi di lavoro, indicatori di situazione economica equivalente, indennizzi per aziende in crisi, numerosi aspetti della disciplina del pubblico impiego (con conferimento di varie deleghe o il rinvio a successive disposizioni legislative), nonché una ampia riforma del codice di procedura civile per quanto attiene alle disposizioni in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro.

Ho già avuto altre volte occasione di sottolineare gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto; nonché sullo stesso svolgimento del procedimento legislativo, per la impossibilità di coinvolgere a pieno titolo nella fase istruttoria tutte le Commissioni parlamentari competenti per ciascuna delle materie interessate. Nel caso specifico l'esame referente si è concentrato alla Camera nella Commissione lavoro e al Senato nelle Commissioni affari costituzionali e lavoro, mentre, ad esempio, la Commissione giustizia di entrambi i rami del Parlamento ed anche la Commissione affari costituzionali della Camera sono intervenute esclusivamente in sede consultiva e non hanno potuto seguire l'esame in Assemblea nelle forme consentite dai rispettivi Regolamenti. Tali inconvenienti risultano ancora più gravi allorché si intervenga, come in questo caso, in modo novellistico su codici e leggi organiche.

Ciò premesso - con l'auspicio di una attenta riflessione sul modo in cui procedere nel futuro alla definizione di provvedimenti legislativi, specialmente se relativi a materie di particolare rilievo e complessità - sono indotto a chiedere alle Camere una nuova deliberazione sulla presente legge dalla particolare problematicità di alcune disposizioni che disciplinano temi di indubbia delicatezza sul piano sociale, attinenti alla tutela del diritto alla salute e di altri diritti dei lavoratori: temi sui quali - nell'esercizio del mio mandato - ho ritenuto di dover richiamare più volte l'attenzione delle istituzioni, delle parti sociali e dell'opinione pubblica.

Intendo qui riferirmi specificamente all'articolo 31 che modifica le disposizioni del codice di procedura civile in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie individuali di lavoro e all'articolo 20 relativo alla responsabilità per le infezioni da amianto subite dal personale che presta la sua opera sul naviglio di Stato. Su di essi sottopongo alla vostra attenzione le considerazioni ed osservazioni che seguono.

1. L'articolo 31, nei primi nove commi, che ne costituiscono la parte più significativa, modifica in modo rilevante la sezione prima del capo primo del titolo quarto del libro secondo del codice di procedura civile, nella parte in cui reca le disposizioni sul tentativo di conciliazione e sull'arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (artt. da 409 a 412-quater del codice di procedura civile), introducendo varie modalità di composizione delle controversie di lavoro alternative al ricorso al giudice. Apporta inoltre, negli ultimi sette commi, una serie di modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dirette a rafforzare le competenze delle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro.

La introduzione nell'ordinamento di strumenti idonei a prevenire l'insorgere di controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalità di definizione può risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito aperto: ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i princìpi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole.

Entrambi questi princìpi sono stati costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale. La Corte infatti ha innanzi tutto dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio all'arbitrato, poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire deroghe al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione). Inoltre, con riferimento ai rapporti nei quali sussiste un evidente, marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la "effettiva" volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale. Questa linea giurisprudenziale, ripresa e sviluppata dalla Corte di Cassazione, ha condotto a far decorrere la prescrizione dei crediti di lavoro nei rapporti privi della garanzia della stabilità dalla cessazione del rapporto. Ciò in analogia con quanto previsto dall'art. 2113 del Codice civile in ordine alla decorrenza del termine per l'impugnazione di rinunce e transazioni che abbiano avuto ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 63 del 1966, n. 143 del 1969, n. 174 del 1972, n. 127 del 1977, n. 488 del 1991, nn. 49, 206 e 232 del 1994, nn. 54 e 152 del 1996, n. 381 del 1997, n. 325 del 1998 e n. 221 del 2005).

Sulla base di tali indicazioni, non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro.

Del resto l'esigenza di verificare che la volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie sia "effettiva" risulta dalla stessa formulazione del comma 9, che affida tale accertamento agli organi di certificazione di cui all'art. 76 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003. Garanzia che peraltro non appare sufficiente, perché tali organi - anche a prescindere dalle incertezze sull'ambito dei relativi poteri, che scontano più generali difficoltà di "acclimatamento" dell'istituto - non potrebbero che prendere atto della volontà dichiarata dal lavoratore, una volta che sia stata confermata in una fase che è pur sempre costitutiva del rapporto e nella quale permane pertanto una ovvia condizione di debolezza.

Ulteriori motivi di perplessità discendono dalla circostanza che, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 412 del codice di procedura civile contenuta nel comma 5 dell'art. 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la "richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento".

Come è noto, nell'arbitrato di equità la controversia può essere risolta in deroga alle disposizioni di legge: si incide in tal modo sulla stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche al livello del rapporto individuale. Né può costituire garanzia sufficiente il generico richiamo del rispetto dei principi generali dell'ordinamento, che non appare come tale idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili, al di là di quelli costituzionalmente garantiti; e comunque un aspetto così delicato non può essere affidato a contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, suscettibili di alimentare contenziosi che la legge si propone invece di evitare. Perplessità ulteriori suscita la estensione della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di pubblico impiego: in tal caso è particolarmente evidente la necessità di chiarire se ed a quali norme si possa derogare senza ledere i princìpi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'art. 97 della Costituzione.

Del resto un arbitrato di equità può svolgere un ruolo apprezzabile ed utile solo a patto di muoversi all'interno di uno spazio significativo ma circoscritto in limiti certi e condivisi. In sostanza l'obiettivo che si intende perseguire è quello di una incisiva modifica della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, che si è finora prevalentemente basata su normative inderogabili o comunque disponibili esclusivamente in sede di contrattazione collettiva. E in effetti l'esigenza di una maggiore flessibilità risponde a sollecitazioni da tempo provenienti dal mondo dell'imprenditoria, alle quali le organizzazioni sindacali hanno mostrato responsabile attenzione guardando anche alla competitività del sistema produttivo nel mercato globale. Si tratta pertanto di un intendimento riformatore certamente percorribile, ma che deve essere esplicitato e precisato, non potendo essere semplicemente presupposto o affidato in misura largamente prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione equitativa delle controversie, assecondando una discutibile linea di intervento legislativo - basato sugli istituti processuali piuttosto e prima che su quelli sostanziali - di cui l'esperienza applicativa mostra tutti i limiti.

Il problema che si pone è dunque quello di definire - nelle sedi dovute e in primo luogo nel Parlamento - in modo puntuale modalità, tempi e limiti che rendano il ricorso all'arbitrato - nell'ambito del rapporto di lavoro - coerente con la necessità di garantire l'effettiva volontarietà della clausola compromissoria e una adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore (da quelli costituzionalmente garantiti agli altri che si ritengano ugualmente non negoziabili). Si tratta cioè di procedere ad adeguamenti normativi che vanno al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti del licenziamento dall'art. 18 dello statuto dei lavoratori.

A quest'ultimo proposito lo scorso 11 marzo la maggior parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese si è impegnata a definire accordi interconfederali che escludano l'inserimento nella clausola compromissoria delle controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è a sua volta impegnato a conformarsi a tale orientamento negli atti di propria competenza. Ma pur apprezzando il significato e il valore di tali impegni, decisivo resta il tema di un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale. Solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi "effettiva" la volontà delle parti di ricorrere all'arbitrato; e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva. A quest'ultima, nei diversi livelli in cui si articola, può inoltre utilmente affidarsi la chiara individuazione di spazi di regolamentazione integrativa o in deroga per negoziazioni individuali adeguatamente assistite così come per la definizione equitativa delle controversie che insorgano in tali ambiti.

Si avvierebbe in tal modo un processo concertato, ed insieme ispirato ad un opportuno gradualismo, attraverso il quale ripristinare quella certezza del diritto che è condizione essenziale nella disciplina dei rapporti di lavoro per garantire una efficace tutela del contraente debole e una effettiva riduzione del contenzioso in un contesto generale di serena evoluzione delle relazioni sindacali.

Non sembra invece coerente con i princìpi generali dell'ordinamento e con la stessa impostazione del comma 9 in esame, che consente di pattuire clausole compromissorie solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro, il prevedere un intervento suppletivo del Ministro - di cui tra l'altro non si stabilisce espressamente la natura regolamentare né si delimitano i contenuti - che dovrebbe consentire comunque, anche in assenza dei predetti accordi, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge tale possibilità, stabilendone le modalità di attuazione e di piena operatività: suscita infatti serie perplessità una così ampia delegificazione con modalità che non risultano in linea con le previsioni dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Al di là delle osservazioni fin qui svolte a proposito dell'articolo 31, è da sottolineare l'opportunità di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse - presenti negli articoli 30, 32 e 50 - che riguardano gli stessi giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi.

2. Secondo l'articolo 20 della legge, l'articolo 2, lettera b), della legge 12 febbraio 1955, n. 51, recante delega al Governo per l'emanazione di norme per l'igiene del lavoro, si interpreta nel senso che l'applicazione della legge delega è esclusa non soltanto - come espressamente recita la lettera b) dell'articolo 2 - per "il lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili", ma anche per "il lavoro a bordo del naviglio di Stato, fatto salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subito".

Dai lavori parlamentari emerge che con detto articolo 20 si è inteso evitare che alle morti o alle lesioni subite dal personale imbarcato su navigli militari e cagionate dal contatto con l'amianto, possano continuare ad applicarsi - come invece sta accadendo in procedimenti attualmente pendenti davanti ad autorità giudiziarie - le sanzioni penali stabilite dal DPR 19 marzo 1956, n. 303, che disciplina l'applicazione di tali sanzioni, escludendole unicamente nei casi di morti o lesioni subite da personale imbarcato su navi mercantili.

Si ricorda altresì che in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro, oggi disciplinata dal decreto legislativo n. 81 del 2008, sono previste sanzioni per la inosservanza delle norme in tema di protezione dai rischi per esposizione ad amianto in tutti i settori di attività, pubblici e privati, sia pure con i necessari adattamenti, con riguardo in particolare alle forze armate, peraltro non ancora definiti.

Al di là degli aspetti strettamente di merito, occorre rilevare innanzitutto che l'articolo 20 in esame non esplicita alcuno dei possibili significati dell'articolo 2, lettera b), della legge del 1955 e quindi non interpreta ma apporta a tale disposizione una evidente modificazione integrativa. La norma incide, inoltre, su una legge delega che ha già esaurito la sua funzione dopo l'adozione del DPR attuativo n. 303 del 1956, senza invece intervenire su di esso, risultando di fatto inapplicabile e priva di effetti.

L'articolo 20 presenta inoltre profili problematici anche nella parte - in sé largamente condivisibile - che riguarda la "salvezza" del diritto del lavoratore al risarcimento dei danni eventualmente subiti. In assenza di disposizioni specifiche - non rinvenibili nella legge - che pongano a carico dello Stato un obbligo di indennizzo, il risarcimento del danno ingiusto è possibile esclusivamente in presenza di un "fatto doloso o colposo" addebitabile a un soggetto individuato (art. 2043 del codice civile). Qualora la efficacia della norma generatrice di responsabilità sia fatta cessare, con la conseguente non punibilità delle lesioni o delle morti cagionate su navigli di Stato, non è infatti più possibile individuare il soggetto giuridicamente obbligato e configurare ipotesi di "dolo o colpa" nella determinazione del danno.

Per conseguire in modo da un lato tecnicamente corretto ed efficace, e dall'altro non esposto a possibili censure di illegittimità costituzionale, le finalità che la disposizione in esame si propone, appare quindi necessario escludere la responsabilità penale attualmente prevista per i soggetti responsabili di alcune categorie di navigli, in linea del resto con gli adattamenti previsti dal citato testo unico n. 81 del 2008, e prevedere, come già accade per altre infermità conseguenti ad attività di servizio, un autonomo titolo per la corresponsione di indennizzi per i danni arrecati alla salute dei lavoratori.

Per i motivi innanzi illustrati, chiedo alle Camere - a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 3 marzo 2010".

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-03-31

Il presidente della Repubblica rimanda alle Camere il testo che disciplina i rapporti di lavoro varato dal governo

Era previsto che già nel contratto di assunzione, in deroga dai contratti collettivi, si potesse stabilire il ricorso all'arbitro

Lavoro, Napolitano non firma

Troppi dubbi sull'arbitrato

Il capo dello Stato: "Effetti negativi da questo modo di legiferare"

La soddisfazione della Cgil. Sacconi: "Terremo conto dei rilievi"

Lavoro, Napolitano non firma Troppi dubbi sull'arbitrato

ROMA - Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano non ha firmato il ddl del governo sul lavoro e ha rimandato il testo alle Camere. Ponendo forti dubbi sulla norma che prevede l'estensione dell'arbitrato nei rapporti di lavoro. Le perplessità riguardano, inoltre, il modo con cui il Parlamento ha legiferato su una materia complessa quale quella del lavoro. "Già altre volte - aggiunge il capo dello Stato - ho sottolineato gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e sulla comprensibilità delle disposizioni e quindi sulla certezza del diritto, sullo svolgimento del procedimento legislativo per l'impossibilità di coinvolgere tutte le commissioni competenti". Serie perplessità sono state sollevate anche "per una così ampia delegificazione".

"Il Capo dello Stato è stato indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni, gli articoli 31 e 20, che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale. Ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale" si legge nella nota del Quirinale. Che, per la prima volta, dal momento dell'elezione di Napolitano, rinvia una legge alle Camere. Cauta la reazione del governo. "Terremo conto dei rilievi del capo dello Stato - dice il ministro del Welfare

Maurizio Sacconi - proporremmo alcune modifiche che mantengano in ogni caso l'istituto che lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato". In ogni caso, il titolare del dicastero auspica "un sollecito esame parlamentare" sui tre punti indicati dal capo dello Stato.

Le critiche del Colle. I rilievi del Colle si appuntano su una delle norme del ddl Lavoro. Quella che riguarda la nuova procedura di conciliazione e arbitrato che di fatto incide su quanto previsto dall'articolo 18 in materia di licenziamento. In particolare l'articolo indicato nel comunicato del Quirinale prevede che già nel contratto di assunzione, in deroga dai contratti collettivi, si possa stabilire che in caso di contrasto le parti si affidino a un arbitrato. L'articolo 31 modifica profondamente le disposizioni sul tentativo di conciliazione. Per Napolitano "occorre verificare che le disposizioni siano pienamente coerenti con la volontarietà dell'arbitrato e la necessità di assicurare un'adeguata tutela del contraente debole". Ovvero del lavoratore. Un altro articolo sul quale il Quirinale muove rilievi è il 20, che esclude dalla delega del 1955 sulla sicurezza del lavoro il personale a bordo dei navigli di Stato: una interpretativa che bloccherebbe l'inchiesta della procura di Torino su 142 uomini della Marina Militare morti per esposizione all'amianto e un processo a Padova per la morte, per lo stesso motivo, di altri due militari. Infine il capo dello Stato chiede una riflessione "opportuna" sugli articoli 30, 32 e 50. Napolitano invita a una rilettura anche sulle competenze della magistratura sulle clausole dei contratti di lavoro, i contratti a tempo determinato e la tipizzazione delle clausole di licenziamento, l'entità del risarcimento per le cause di lavoro relative a collaborazioni coordinate e continuate.

Le reazioni. "Napolitano ha sempre mostrato una grande attenzione" alla eterogeneità delle norme e alle coperture finanziarie, è nel suo potere rimandare alle Camere, non ho nulla da obiettare" dice il ministro dell'Interno, Roberto Maroni. Soddisfazione è stata espressa dal Pd ("Speriamo che la maggioranza non sprechi questa occasione offertale dal presidente della Repubblica", hanno detto i deputati della commissione lavoro di Montecitorio, Marianna Madia e Ivano Miglioli) e dalla Cgil, fortemente critica verso il provvedimento. "E' una decisione - dice il segretario Guglielmo Epifani - che conferma le considerazioni della Cgil sugli aspetti critici del provvedimento. E' di tutta evidenza l'intempestività di una dichiarazione comune su una legge nemmeno ancora promulgata né pubblicata sulla Gazzetta ufficiale". "Finalmente il presidente della Repubblica batte un colpo e rimanda alle Camere la legge che voleva modificare, anzi svuotare lo Statuto dei lavoratori. Ne siamo contenti perché l'Italia dei valori è stato l'unico partito che, a suo tempo, si era permesso di pregare il presidente della Repubblica di non firmare il provvedimento ma di rinviarlo alle Camere" afferma il leader di Idv, Antonio Di Pietro. Per la Cisl, invece l'arbitrato resta uno strumento "utile", mentre il segretario generale della Uil Luigi Angeletti si augura "che il rinvio alle Camere sia l'occasione utile per rendere coerente il provvedimento legislativo con l'avviso comune realizzato dalle parti". Sulla stessa lunghezza d'onda Nazzareno Mollicone, segretario confederale dell'Ugl. Pienamente soddisfatti della scelta di Napolitano si dicono i vertici di Rdb (Rappresentanze di base) e Sdl (Sindacato dei lavoratori).

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Via libera definitivo del Senato al disegno di legge collegato alla Finanziaria, che include la norma

che allarga il ricorso all'arbitrato. Il ministro Sacconi: "Malafede di chi vuole accendere tensione sociale"

Approvata modifica art.18, Pd e sindacati

"Il ddl del governo è una controriforma"

Treu: "Diventa possibile bypassare norme inderogabili"

Angeletti (Uil): "Parlamento non faccia danni o reagiremo"

Approvata modifica art.18, Pd e sindacati "Il ddl del governo è una controriforma"

Il Segretario generale della Uil, Luigi Angeletti (a destra) e quello della Cgil Guglielmo Epifani

ROMA - L'Aula del Senato ha approvato il ddl sul lavoro, che contiene norme sull'arbitrato per risolvere le controversie di lavoro e, secondo l'opposizione e i sindacati, potrebbe indebolire o vanificare l'art.18 dello Statuto dei Lavoratori. La legge è stata approvata con 151 voti favorevoli, 83 contrari e 5 astenuti. Il provvedimento contiene fra l'altro norme sui lavori usuranti, gli ammortizzatori sociali, l'apprendistato e le controversie sul lavoro. La contestata normativa sull'arbitrato, ha sottolineato il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, faceva parte della versione originaria della legge Biagi. "Il diritto sostanziale del lavoro, incluso l'articolo 18 dello Statuto non è stato minimamente toccato", ha assicurato. "Con quello che si è votato oggi in senato si è scritta una brutta pagina per i lavoratori italiani. Si è aperta la strada alla manomissione dell'art.18: E' un ulteriore attacco al diritto del lavoro", afferma in una nota Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd al Senato.

Diversi esponenti politici e sindacali avevano rilanciato stamane l'allarme di Repubblica sull'attacco del governo all'articolo dello Statuto dei lavoratori che tutela i dipendenti rispetto al licenziamento del datore di lavoro, attraverso la norma contenuta nel ddl lavoro, che allarga il ricorso all'arbitrato, da alcuni ritenuto un tentativo di aggirare, appunto, l'articolo 18.

Il senatore del Pd ed ex ministro del Lavoro, Tiziano Treu, a poche ore dal via libera definitivo del disegno di legge collegato alla Finanziara da parte dell'Aula di palazzo Madama, aveva spiegato che "l'articolo 31 del ddl prevede due possibilità per ricorrere all'arbitrato in funzione della risoluzione delle controversie tra datore di lavoro e lavoratore". La prima, aveva detto il senatore, "è attraverso contratti collettivi che - ha detto - è la strada più sicura. In questo modo, infatti, le parti possono stabilire i limiti in cui l'arbitrato può essere esercitato. Poi, però, resta il fatto, che se le parti falliscono nel trovare un accordo, può intervenire il ministro per decreto".

 

"C'è però un'altra possibilità consentita dalla norme - evidenzia ancora Treu - e cioè che il singolo lavoratore accetti un accordo secondo cui il proprio contratto di assunzione preveda il ricorso all'arbitrato per risolvere le controversie, incluso il ricorso all'arbitrato secondo equità. Cosa, quest'ultima, che implica la possibilità di bypassare le norme inderogabili di legge e quindi diritti come l'articolo 18 o le retribuzioni o le ferie. Un simile accordo inoltre - ha rimarcato Treu - può essere stretto anche in corso di rapporto di lavoro".

Il Ddl limita la competenza del giudice e privilegia il canale dell'arbitrato e della conciliazione per tutte le controversie di lavoro, tra cui quelle legate al trasferimento di azienda e al recesso. Tra le altre novità introdotte, la possibilità di assolvere l'ultimo anno di obbligo di istruzione (dai 15 anni di età) attraverso un apprendistato in azienda, dopo un'intesa tra Regioni, ministero del Lavoro e dell'Istruzione, "sentite le parti sociali". Inoltre il governo è delegato ad adottare, entro 3 mesi, regole sul pensionamento anticipato dei lavoratori impegnati in attività usuranti.

Secondo il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani "questo ddl opera una vera e propria controriforma delle basi del diritto del lavoro italiano". Il ddl, ha spiegato a margine del congresso della Camera del Lavoro di Bologna, "porta sostanzialmente a una forma di arbitrato obbligatorio che farebbe saltare le forme tradizionali delle tutele contrattuali e delle libertà dei lavoratori di poter adire a queste scelte".

"In questo modo - ha detto ancora Epifani - naturalmente si rende il lavoratore più debole. Se lo si fa addirittura nel momento del suo ingresso nel lavoro lo si segna per tutta la vita. In ogni caso - ha concluso il leader della Cgil - faremo ricorso se ci sono le condizioni di legittimità costituzionale".

"La polemica dei soliti noti su un testo di legge alla quarta lettura in Parlamento, dopo due anni di esame, è l'ennesima prova della malafede di chi vuole sempre accendere tensione sociale", ha reagito il ministro del Lavoro. Maurizio Sacconi ha precisato che con tale norma "il lavoratore avrà la possibilità in più di ricorrere all'arbitrato e il tutto sarà regolato da contratti collettivi. Non per nulla tutti, tranne la Cgil, hanno condiviso questa norma, punto".

Ma anche Cisl e Uil hanno manifestato il proprio dissenso. "Questo tema, così come i temi del mercato del lavoro, devono essere oggetto prima di confronto e discussione con i sindacati e le associazioni di impresa, che sanno trovare soluzioni più efficaci del Parlamento" e "per evitare danni", ha detto il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. "Negli anni scorsi c'era l'intenzione di abrogare l'articolo 18, ora c'è quella di trasformare il reintegro in rimborso o in una penale ai lavoratori, quindi la questione è diversa", ha aggiunto Angeletti, secondo cui "nel caso di danni seri non staremmo con le mani in mano".

Per il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, "l'unica cosa che si può fare è affidare questa materia alle parti sociali". Interpellato a margine del congresso della Uil, Bonanni ha sottolineato che da destra e sinistra si vedono iniziative, "ma la politica regoli se stessa che è già abbastanza sregolata". Per Bonanni "su queste materie sociali sono d'accordo solo se sono le parti a regolarsi, altrimenti sono palloni che si sgonfiano".

(03 marzo 2010)

 

 

 

L'UNITA'

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2010-03-31

Articolo 18, Napolitano non firma il ddl sul lavoro

"Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha chiesto alle Camere, a norma dell'art. 74, primo comma, della Costituzione, una nuova deliberazione in ordine alla legge: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione degli enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonchè misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro", si legge in un comunicato del Quirinale. E' la prima volta che l'attuale presidenza rinvia un provvedimento.

"Il Capo dello Stato è stato indotto a tale decisione dalla estrema eterogeneità della legge e in particolare dalla complessità e problematicità di alcune disposizioni - con specifico riguardo agli articoli 31 e 20 - che disciplinano temi, attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale. Ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere, affinchè gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale", aggiunge il comunicato.

Il rinvio alle Camere è motivato in un messaggio lungo dieci cartelle. Verrà letto in aula a Montecitorio, alle 15.

"La Cgil esprime soddisfazione e apprezzamento per la decisione del Quirinale". È quanto afferma il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, commentando il rinvio alle Camere del ddl lavoro deciso dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. "È una decisione - prosegue - che conferma le considerazioni della Cgil sugli aspetti critici del provvedimento. È di tutta evidenza l'intempestività di una dichiarazione comune su una legge - conclude Epifani - nemmeno ancora promulgata nè pubblicata sulla Gazzetta ufficiale".

Dopo il monito del Quirinale, la risposta del governo. Il ministro del Lavoro, Sacconi: "Terremo conto dei rilievi, proporremo alcune modifiche"

31 marzo 2010

 

 

 

Epifani: "Chiediamo meno fisco e più diritti"

Un progetto per l'Italia e una forte richiesta al Governo di dare risposte alla crisi del Paese: queste le grandi parole d'ordine della manifestazione nazionale promossa a Padova in occasione dello sciopero generale indetto dalla Cgil. Aprendo il corteo, il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, si è detto dispiaciuto che una iniziativa nazionale non veda la partecipazione anche degli altri sindacati. "Una battaglia come questa - ha detto - dovrebbe vedere unito tutto il mondo del lavoro, Quando chiediamo meno fisco per i lavoratori, più sussidi per i disoccupati, più investimenti e risorse per la scuola è una battaglia che normalmente, in altre stagioni, si faceva insieme".

Epifani ha sottolineato che gli altri sindacati sembrano muoversi su iniziative locali: "Ma quando si tratta di fare iniziative nazionali, che chiamano in causa anche le responsabilità del Governo nazionale, non fanno nulla. È un errore perchè non è un problema di essere pro o contro questo o quel governo". Secondo Epifani, quando le cose non vanno bene e il Governo non fa tutto quello che deve fare "il sindacato deve spingere perchè cambi politica economica e politica sociale".

Per Epifani, è solo l'inizio: "Non ci fermeremo con oggi, ma continueremo perché sono temi che richiedono una mobilitazione che va oltre". Il numero uno del sindacato auspica che ci sia una grande partecipazione allo sciopero e anche alle manifestazioni "perché - afferma in un video sul sito della Cgil - abbiamo bisogno di far sentire con più forza la voce del mondo del lavoro, dei giovani, degli anziani e dei pensionati".

"C'è un paese che ha le pezze. I lavoratori stanno male, la disoccupazione aumenta, soprattutto nelle aree più industrializzate. Il Governo non fa nulla". "Sacconi ha sempre detto che siamo pieni di soldi, anche Tremonti e Berlusconi lo dicono. E che anzi si spende meno dei soldi che ci sono", dice Epifani, sottolineando la contraddizione tra una disponibilità finanziaria e il mancato prolungamento della cassa integrazione. "Ma se è così perché dire no a quello che in sede parlamentare è stato votato? - aggiunge Epifani - C'è una differenza, la Cig ordinaria prorogata consente ai lavoratori di averla senza formalità. Non c'era motivo per dire di no se ci sono i soldi".

I suicidi di imprenditori e lavoratori soprattutto a Nordest perché "questa è l'area che soffre di più", spiega il segretario generale della Cgil. "Questa è l'area del paese che soffre di più. Qui c'era il cuore dell'impresa manifatturiera, il cuore dell'esportazione, la crisi ha colpito di più il nordest e segnatamente il Veneto. E non posso dimenticare i 14 suicidi tra artigiani, piccoli imprenditori e lavoratori. Questo dà il segno del dramma, quello che il governo non vuol vedere".

Se Epifani si è rammaricato per l'assenza degli altri due sindacati confederali, Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale Fiom, è più duro. La dichiarazione comune sull'arbitrato firmata da Cisl e Uil, dice, è "un attacco ai diritti dei lavoratori, un modo per gestire la crisi che si basa sull'idea che questa si affronti a spese dei diritti dei lavoratori". Una politica che è possibile "grazie alla Confindustria e alla complicità di Cisl e Uil che la tengono in vita. È l'idea - ha proseguito Cremaschi - che per essere competitivi bisogna ridurre i diritti dei lavoratori".

L'ex portavoce del Global Forum e candidato alla presidenza della Regione Lombardia per la federazione della Sinistra (Prc e Pdci) Vittorio Agnoletto, che sta sfilando a Milano nel corteo della Cgil, ha sostenuto che in questo modo "si dice che i cittadini non sono tutti uguali davanti alla legge perchè le controversie di lavoro escono dalla tutela della legge. È un attentato allo statuto che non si sarebbe mai osato fare in una fase di espansione dell'economia e che colpirà chi entra ora nel mondo del lavoro, quindi le nuove generazioni, chi è in cerca di lavoro e in futuro tutti con i rinnovi dei contratti". Il candidato alla Sinistra radicale chiede invece "un allargamento del Welfare a tutti i lavoratori anche precari e un prolungamento della cassa integrazione per tutti da 52 a 104 settimane".

Roma - Nella Capitale il corteo della Cgil si sta muovendo verso la sede della Rai di viale Mazzini. Numerosi gli esponenti del mondo della scuola che oggi sciopera per l'intera giornata: insegnanti, precari ma anche studenti medi universitari, tutti partiti da piazzale Flaminio. Nel corteo numerosi gli striscioni. Si legge: "Così prega la Gelmini: Eterno riposo donerò alla scuola di Stato, risplenderà la luce del futuro a chi avrà soldi, riposeranno in pace cultura, precari e bambini"; e ancora "Giù le mani dalla scuola" firmato Coordinamenti genitori-insegnanti; "Tagli=sbagli". Presenti anche il Prc di Roma con lo striscione "La scuola non è un'azienda" e Sinistra e libertà.

Per quanto riguarda i trasporti, chiuse le stazioni delle due linee della metropolitana fino alle 13.30. È invece regolare la circolazione dei treni sulle tre linee ferroviarie Roma-Lido, Termini-Giardinetti e Roma-Civitacastellana-Viterbo.

Torino - Sono 27 i presidi in corso a Torino per lo sciopero generale di quattro ore indetto dalla Cgil "contro la crisi, per un fisco più equo, in difesa del diritto di cittadinanza per i migranti e per dire no alla legge di controriforma sull'articolo 18". Due i cortei, uno di studenti a Torino e l'altro, al quale partecipano i metalmeccanici, a Grugliasco, dove terrà il comizio Donata Canta, segretario generale della Camera del Lavoro torinese. In piazza San Carlo folta presenza di bancari che scioperano otto ore, ma anche di lavoratori metalmeccanici, tra i quali le tute blu di Mirafiori.

I dipendenti del Museo Egizio hanno deciso di non scioperare per non creare disagio ai turisti stranieri visto l'alto numero di prenotazioni (oltre 400), ma devolveranno la loro giornata di lavoro a una onlus. Nel trasporto pubblico, metropolitana compresa, la protesta partirà alle 17,45 per terminare alle 21,45. Le autolinee extraurbane si fermano invece dalle ore 10,30 alle ore 14,30.

12 marzo 2010

il SOLE 24 ORE

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2010-03-31

Governo pronto a modifiche sul lavoro dopo il no del Quirinale

di Celestina Dominelli

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31 marzo 2010

Napolitano rinvia alle Camere il ddl lavoro. Dubbi su arbitrato

"Dai nostri archivi"

Collegato lavoro: il Presidente della Repubblica rinvia alle Camere il Ddl

Via libera del Governo al Ddl. Eluana, è scontro istituzionale

I due articoli del collegato lavoro "impugnati" dal Quirinale

Napolitano: "Il voto di fiducia non diventi una prassi"

 

Il capo dello stato, Giorgio Napolitano, ha rinviato alle Camere il ddl collegato lavoro chiedendo una nuova deliberazione. A sollevare le perplessità del Colle, come si legge una nota, "è l'estrema eterogeneità della legge e in particolare la complessità e problematicità di alcune disposizioni".

I rilievi del presidente della Repubblica si sarebbero appuntati in particolare sugli articoli 20 e 31 del disegno di legge "che disciplinano – prosegue ancora il comunicato – temi attinenti alla tutela del lavoro, di indubbia delicatezza sul piano sociale". L'articolo 31 del provvedimento, che aveva suscitato polemiche, riguarda il ricorso all'arbitrato nelle controversie tra datore di lavoro e lavoratore in caso di licenziamento senza giusta causa. Le nuove norme, secondo le voci contrarie alla riforma, potrebbero portare ad aggirare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che prevede la reintegrazione del lavoratore.

Napolitano, conclude il comunicato, "ha perciò ritenuto opportuno un ulteriore approfondimento da parte delle Camere affinché gli apprezzabili intenti riformatori che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie e di un più chiaro e definito equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale".

"È nel suo potere rimandare alle Camere, non ho nulla da obiettare", è stato il commento del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, mentre il collega Maurizio Sacconi ha precisato che il governo proporrà alcune modifiche "che mantengano in ogni caso un istituto che lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato".

 

 

Testo integrale del messaggio del Presidente Napolitano alle Camere

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Palazzo del Quirinale, 31/03/2010

Testo integrale del Messaggio motivato con il quale il Presidente Napolitano ha chiesto alle Camere una nuova deliberazione sulla Legge recante: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro".

"Onorevoli Parlamentari,

mi è stata sottoposta, per la promulgazione, la legge recante: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro".

Il provvedimento, che nasce come stralcio di un disegno di legge collegato alla legge finanziaria 2009 (Camera n.1441-quater), ha avuto un travagliato iter parlamentare nel corso del quale il testo, che all'origine constava di 9 articoli e 39 commi e già interveniva in settori tra loro diversi, si è trasformato in una legge molto complessa, composta da 50 articoli e 140 commi riferiti alle materie più disparate.

Questa configurazione marcatamente eterogenea dell'atto normativo - che risulta, del resto, dallo stesso titolo sopra riportato - è resa ancora più evidente da una sia pur sintetica e parziale elencazione delle principali materie oggetto di disciplina: revisione della normativa in tema di lavori usuranti, riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero della salute, regolamentazione della Commissione per la vigilanza sul doping e la tutela della salute nelle attività sportive, misure contro il lavoro sommerso, disposizioni riguardanti i medici e professionisti sanitari extracomunitari, permessi per l'assistenza ai portatori di handicap, ispezioni nei luoghi di lavoro, indicatori di situazione economica equivalente, indennizzi per aziende in crisi, numerosi aspetti della disciplina del pubblico impiego (con conferimento di varie deleghe o il rinvio a successive disposizioni legislative), nonché una ampia riforma del codice di procedura civile per quanto attiene alle disposizioni in materia di conciliazione e arbitrato nelle controversie individuali di lavoro.

Ho già avuto altre volte occasione di sottolineare gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto; nonché sullo stesso svolgimento del procedimento legislativo, per la impossibilità di coinvolgere a pieno titolo nella fase istruttoria tutte le Commissioni parlamentari competenti per ciascuna delle materie interessate. Nel caso specifico l'esame referente si è concentrato alla Camera nella Commissione lavoro e al Senato nelle Commissioni affari costituzionali e lavoro, mentre, ad esempio, la Commissione giustizia di entrambi i rami del Parlamento ed anche la Commissione affari costituzionali della Camera sono intervenute esclusivamente in sede consultiva e non hanno potuto seguire l'esame in Assemblea nelle forme consentite dai rispettivi Regolamenti. Tali inconvenienti risultano ancora più gravi allorché si intervenga, come in questo caso, in modo novellistico su codici e leggi organiche.

Ciò premesso - con l'auspicio di una attenta riflessione sul modo in cui procedere nel futuro alla definizione di provvedimenti legislativi, specialmente se relativi a materie di particolare rilievo e complessità - sono indotto a chiedere alle Camere una nuova deliberazione sulla presente legge dalla particolare problematicità di alcune disposizioni che disciplinano temi di indubbia delicatezza sul piano sociale, attinenti alla tutela del diritto alla salute e di altri diritti dei lavoratori: temi sui quali - nell'esercizio del mio mandato - ho ritenuto di dover richiamare più volte l'attenzione delle istituzioni, delle parti sociali e dell'opinione pubblica.

Intendo qui riferirmi specificamente all'articolo 31 che modifica le disposizioni del codice di procedura civile in materia di conciliazione ed arbitrato nelle controversie individuali di lavoro e all'articolo 20 relativo alla responsabilità per le infezioni da amianto subite dal personale che presta la sua opera sul naviglio di Stato. Su di essi sottopongo alla vostra attenzione le considerazioni ed osservazioni che seguono.

  1. L'articolo 31, nei primi nove commi, che ne costituiscono la parte più significativa, modifica in modo rilevante la sezione prima del capo primo del titolo quarto del libro secondo del codice di procedura civile, nella parte in cui reca le disposizioni sul tentativo di conciliazione e sull'arbitrato nelle controversie individuali di lavoro (artt. da 409 a 412-quater del codice di procedura civile), introducendo varie modalità di composizione delle controversie di lavoro alternative al ricorso al giudice. Apporta inoltre, negli ultimi sette commi, una serie di modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dirette a rafforzare le competenze delle commissioni di certificazione dei contratti di lavoro.
  2. La introduzione nell'ordinamento di strumenti idonei a prevenire l'insorgere di controversie ed a semplificarne ed accelerarne le modalità di definizione può risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito aperto: ma occorre verificare attentamente che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i princìpi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole.
  3. Entrambi questi princìpi sono stati costantemente affermati in numerose pronunce dalla Corte Costituzionale. La Corte infatti ha innanzi tutto dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il ricorso obbligatorio all'arbitrato, poiché solo la concorde volontà delle parti può consentire deroghe al fondamentale principio di statualità ed esclusività della giurisdizione (art. 102, primo comma, della Costituzione) e al diritto di tutti i cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (artt. 24 e 25 della Costituzione). Inoltre, con riferimento ai rapporti nei quali sussiste un evidente, marcato squilibrio di potere contrattuale tra le parti, la Corte ha riconosciuto la necessità di garantire la "effettiva" volontarietà delle negoziazioni e delle eventuali rinunce, ancora una volta con speciale riguardo ai rapporti di lavoro ed alla tutela dei diritti del lavoratore in sede giurisdizionale. Questa linea giurisprudenziale, ripresa e sviluppata dalla Corte di Cassazione, ha condotto a far decorrere la prescrizione dei crediti di lavoro nei rapporti privi della garanzia della stabilità dalla cessazione del rapporto. Ciò in analogia con quanto previsto dall'art. 2113 del Codice civile in ordine alla decorrenza del termine per l'impugnazione di rinunce e transazioni che abbiano avuto ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi (si vedano le sentenze della Corte Costituzionale n. 63 del 1966, n. 143 del 1969, n. 174 del 1972, n. 127 del 1977, n. 488 del 1991, nn. 49, 206 e 232 del 1994, nn. 54 e 152 del 1996, n. 381 del 1997, n. 325 del 1998 e n. 221 del 2005).
  4. Sulla base di tali indicazioni, non può non destare serie perplessità la previsione del comma 9 dell'art. 31, secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie può essere assunta non solo in costanza di rapporto allorché insorga la controversia, ma anche nel momento della stipulazione del contratto, attraverso l'inserimento di apposita clausola compromissoria: la fase della costituzione del rapporto è infatti il momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro.
  5. Del resto l'esigenza di verificare che la volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie sia "effettiva" risulta dalla stessa formulazione del comma 9, che affida tale accertamento agli organi di certificazione di cui all'art. 76 del citato decreto legislativo n. 276 del 2003. Garanzia che peraltro non appare sufficiente, perché tali organi - anche a prescindere dalle incertezze sull'ambito dei relativi poteri, che scontano più generali difficoltà di "acclimatamento" dell'istituto - non potrebbero che prendere atto della volontà dichiarata dal lavoratore, una volta che sia stata confermata in una fase che è pur sempre costitutiva del rapporto e nella quale permane pertanto una ovvia condizione di debolezza.
  6. Ulteriori motivi di perplessità discendono dalla circostanza che, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 412 del codice di procedura civile contenuta nel comma 5 dell'art. 31 (disposizione espressamente richiamata dal comma 9 dello stesso articolo) la clausola compromissoria può ricomprendere anche la "richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento".
  7. Come è noto, nell'arbitrato di equità la controversia può essere risolta in deroga alle disposizioni di legge: si incide in tal modo sulla stessa disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, rendendola estremamente flessibile anche al livello del rapporto individuale. Né può costituire garanzia sufficiente il generico richiamo del rispetto dei principi generali dell'ordinamento, che non appare come tale idoneo a ricomprendere tutte le ipotesi di diritti indisponibili, al di là di quelli costituzionalmente garantiti; e comunque un aspetto così delicato non può essere affidato a contrastanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, suscettibili di alimentare contenziosi che la legge si propone invece di evitare. Perplessità ulteriori suscita la estensione della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di pubblico impiego: in tal caso è particolarmente evidente la necessità di chiarire se ed a quali norme si possa derogare senza ledere i princìpi di buon andamento, trasparenza ed imparzialità dell'azione amministrativa sanciti dall'art. 97 della Costituzione.

Del resto un arbitrato di equità può svolgere un ruolo apprezzabile ed utile solo a patto di muoversi all'interno di uno spazio significativo ma circoscritto in limiti certi e condivisi. In sostanza l'obiettivo che si intende perseguire è quello di una incisiva modifica della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, che si è finora prevalentemente basata su normative inderogabili o comunque disponibili esclusivamente in sede di contrattazione collettiva. E in effetti l'esigenza di una maggiore flessibilità risponde a sollecitazioni da tempo provenienti dal mondo dell'imprenditoria, alle quali le organizzazioni sindacali hanno mostrato responsabile attenzione guardando anche alla competitività del sistema produttivo nel mercato globale. Si tratta pertanto di un intendimento riformatore certamente percorribile, ma che deve essere esplicitato e precisato, non potendo essere semplicemente presupposto o affidato in misura largamente prevalente a meccanismi di conciliazione e risoluzione equitativa delle controversie, assecondando una discutibile linea di intervento legislativo - basato sugli istituti processuali piuttosto e prima che su quelli sostanziali - di cui l'esperienza applicativa mostra tutti i limiti.

Il problema che si pone è dunque quello di definire - nelle sedi dovute e in primo luogo nel Parlamento - in modo puntuale modalità, tempi e limiti che rendano il ricorso all'arbitrato - nell'ambito del rapporto di lavoro - coerente con la necessità di garantire l'effettiva volontarietà della clausola compromissoria e una adeguata tutela dei diritti più rilevanti del lavoratore (da quelli costituzionalmente garantiti agli altri che si ritengano ugualmente non negoziabili). Si tratta cioè di procedere ad adeguamenti normativi che vanno al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti del licenziamento dall'art. 18 dello statuto dei lavoratori.

A quest'ultimo proposito lo scorso 11 marzo la maggior parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese si è impegnata a definire accordi interconfederali che escludano l'inserimento nella clausola compromissoria delle controversie relative alla risoluzione del rapporto di lavoro ed il Ministro del lavoro e delle politiche sociali si è a sua volta impegnato a conformarsi a tale orientamento negli atti di propria competenza. Ma pur apprezzando il significato e il valore di tali impegni, decisivo resta il tema di un attento equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale. Solo il legislatore può e deve stabilire le condizioni perché possa considerarsi "effettiva" la volontà delle parti di ricorrere all'arbitrato; e solo esso può e deve stabilire quali siano i diritti del lavoratore da tutelare con norme imperative di legge e quali normative invece demandare alla contrattazione collettiva. A quest'ultima, nei diversi livelli in cui si articola, può inoltre utilmente affidarsi la chiara individuazione di spazi di regolamentazione integrativa o in deroga per negoziazioni individuali adeguatamente assistite così come per la definizione equitativa delle controversie che insorgano in tali ambiti.

Si avvierebbe in tal modo un processo concertato, ed insieme ispirato ad un opportuno gradualismo, attraverso il quale ripristinare quella certezza del diritto che è condizione essenziale nella disciplina dei rapporti di lavoro per garantire una efficace tutela del contraente debole e una effettiva riduzione del contenzioso in un contesto generale di serena evoluzione delle relazioni sindacali.

Non sembra invece coerente con i princìpi generali dell'ordinamento e con la stessa impostazione del comma 9 in esame, che consente di pattuire clausole compromissorie solo ove ciò sia previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro, il prevedere un intervento suppletivo del Ministro - di cui tra l'altro non si stabilisce espressamente la natura regolamentare né si delimitano i contenuti - che dovrebbe consentire comunque, anche in assenza dei predetti accordi, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge tale possibilità, stabilendone le modalità di attuazione e di piena operatività: suscita infatti serie perplessità una così ampia delegificazione con modalità che non risultano in linea con le previsioni dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Al di là delle osservazioni fin qui svolte a proposito dell'articolo 31, è da sottolineare l'opportunità di una riflessione anche su disposizioni in qualche modo connesse - presenti negli articoli 30, 32 e 50 - che riguardano gli stessi giudizi in corso e che oltretutto rischiano, così come sono formulate, di prestarsi a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi.

2. Secondo l'articolo 20 della legge, l'articolo 2, lettera b), della legge 12 febbraio 1955, n. 51, recante delega al Governo per l'emanazione di norme per l'igiene del lavoro, si interpreta nel senso che l'applicazione della legge delega è esclusa non soltanto - come espressamente recita la lettera b) dell'articolo 2 - per "il lavoro a bordo delle navi mercantili e a bordo degli aeromobili", ma anche per "il lavoro a bordo del naviglio di Stato, fatto salvo il diritto del lavoratore al risarcimento del danno eventualmente subito".

Dai lavori parlamentari emerge che con detto articolo 20 si è inteso evitare che alle morti o alle lesioni subite dal personale imbarcato su navigli militari e cagionate dal contatto con l'amianto, possano continuare ad applicarsi - come invece sta accadendo in procedimenti attualmente pendenti davanti ad autorità giudiziarie - le sanzioni penali stabilite dal DPR 19 marzo 1956, n. 303, che disciplina l'applicazione di tali sanzioni, escludendole unicamente nei casi di morti o lesioni subite da personale imbarcato su navi mercantili.

Si ricorda altresì che in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro, oggi disciplinata dal decreto legislativo n. 81 del 2008, sono previste sanzioni per la inosservanza delle norme in tema di protezione dai rischi per esposizione ad amianto in tutti i settori di attività, pubblici e privati, sia pure con i necessari adattamenti, con riguardo in particolare alle forze armate, peraltro non ancora definiti.

Al di là degli aspetti strettamente di merito, occorre rilevare innanzitutto che l'articolo 20 in esame non esplicita alcuno dei possibili significati dell'articolo 2, lettera b), della legge del 1955 e quindi non interpreta ma apporta a tale disposizione una evidente modificazione integrativa. La norma incide, inoltre, su una legge delega che ha già esaurito la sua funzione dopo l'adozione del DPR attuativo n. 303 del 1956, senza invece intervenire su di esso, risultando di fatto inapplicabile e priva di effetti.

L'articolo 20 presenta inoltre profili problematici anche nella parte - in sé largamente condivisibile - che riguarda la "salvezza" del diritto del lavoratore al risarcimento dei danni eventualmente subiti. In assenza di disposizioni specifiche - non rinvenibili nella legge - che pongano a carico dello Stato un obbligo di indennizzo, il risarcimento del danno ingiusto è possibile esclusivamente in presenza di un "fatto doloso o colposo" addebitabile a un soggetto individuato (art. 2043 del codice civile). Qualora la efficacia della norma generatrice di responsabilità sia fatta cessare, con la conseguente non punibilità delle lesioni o delle morti cagionate su navigli di Stato, non è infatti più possibile individuare il soggetto giuridicamente obbligato e configurare ipotesi di "dolo o colpa" nella determinazione del danno.

Per conseguire in modo da un lato tecnicamente corretto ed efficace, e dall'altro non esposto a possibili censure di illegittimità costituzionale, le finalità che la disposizione in esame si propone, appare quindi necessario escludere la responsabilità penale attualmente prevista per i soggetti responsabili di alcune categorie di navigli, in linea del resto con gli adattamenti previsti dal citato testo unico n. 81 del 2008, e prevedere, come già accade per altre infermità conseguenti ad attività di servizio, un autonomo titolo per la corresponsione di indennizzi per i danni arrecati alla salute dei lavoratori.

Per i motivi innanzi illustrati, chiedo alle Camere - a norma dell'articolo 74, primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 3 marzo 2010".

 

 

 

 

 

 

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